Tomba Brion: mausoleo dedicato al pioniere dell’industria dell’elettronica, progettato dall’Arch. Carlo Scarpa
Specchi d’acqua, specchi di luce e di scampoli di cielo per meditare e contemplare

1939. Rina Tomasin e Giuseppe Brion si conoscono alla stazione di Castelfranco Veneto perché entrambi hanno perso il treno. Lei ha 19 anni, lui dieci in più. È amore a prima vista. Sul convoglio successivo, salgono insieme. Si sposano dopo appena tre mesi e vanno a vivere a Milano. Qui Giuseppe apre un laboratorio, prime modeste rotaie di un sogno più ambizioso.
Negli anni Quaranta, la svolta: Giuseppe e Rina fondano la Brionvega che comincia a vendere computer e radio disegnati da grandi artisti internazionali. Brionvega: il cognome di lui con a fianco la stella più lucente della costellazione della Lyra. Un portafortuna.
E infatti, dopo una manciata d’anni, l’azienda esporta già negli USA e in Giappone. In una foto di quel periodo, Giuseppe sorride: da tecnico è diventato stimato imprenditore. Da macchinista, capostazione.
Intanto il tempo corre. Fino al 1968, quando ogni certezza deraglia: Giuseppe si spegne a Rapallo per un improvviso malore.
Binario morto? «Lo strappo fu violento» ricorda la moglie in un’intervista, «rimasi per un anno fuori di me». Ma no, Rina non molla, stringe i denti: famiglia e ditta hanno bisogno di lei.
Al suo Giuseppe però continua a pensare. E alla fine lo immagina: un piccolo mausoleo che possa tramandarne il ricordo. Dove? Al suo paese natale, San Vito d’Altivole (Treviso). Detto, fatto: Rina contatta il re degli architetti italiani, Carlo Scarpa il quale ascolta, annuisce e inizia a “ruminare” sulla commissione: per prima cosa fa la punta alla matita -come dice sempre ai suoi studenti-, poi questa schizza come una locomotiva sui fogli del taccuino.
E a poco a poco il progetto prende forma, forza: un giardino funebre ad elle, con uno specchio d’acqua e le mura di pallido calcestruzzo. Atmosfere quasi giapponesi. Mosaici con tessere rosse (colore maschile) e blu (colore femminile); gradini; cerchi e anelli incrociati.
Sembra un labirinto in cui però non hai l’ansia di perderti.
Nel mezzo, le tombe di Onorina e Giuseppe tese l’una verso l’altra, sagome di vagoni pronti a ripartire.